Andiamo in val dell'Orco, destinazione cima del Carro.
Siamo nel parco nazionale del Gran Paradiso, lato sud. Forse quello più selvaggio e meno conosciuto. Tutto sommato non è troppo distante da Milano e in due orette e mezza si arriva a Ceresole Reale. Cielo limpido. Vento. Nuvole nere laggiù...proprio dove stiamo andando noi...e ma che sfiga!!! Non conosco la zona e non saprei come ripiegare. Mi guardo intorno a cercare alternative (ah se avessi studiato il Levenna...che gitona)...distratto vedo con la coda dell'occhio una faccina cornuta che, attirata dai fari, vuole attraversare (o suicidarsi)...inchiodo evitando di speronare un capriolo...i ragazzi si destano spiaccicati sui sedili. Che succede??? Nulla, siamo praticamente accerchiati da animali: stambecchi, caprioli, altri ungulati che non conosco...ma che spettacolo.
Ad ogni modo il meteo dove andiamo non è un gran che...ma siamo qui. Arriviamo alla sbarra a 1800 dove troviamo altri skialper. Ci prepariamo sferzati dal vento e congelati da un freddo invernale. Si parte sulla strada praticamente sgombra di neve in direzione del lago Sfarzu. Molti girano a sinistra per salire al Carro dal classico vallone.
Noi no. Seguiamo inizialmente due ragazzi. Arrivati alle baite li raggiungiamo. Qui a sud neve risparmiata dai venti. Pauder sopraffina. Mi piacerebbe cambiare al volo ma...troppe incognite. Siamo sulla linea di passaggio del maltempo che da nord, attraverso il col del Nivolet, s' infila qui andando a sbattere contro l'Anguille Rousse che sarà sempre avvolta tra le nuvole.
Rapido confronto con i ragazzi che ci sconsigliano un po...ma tornare indietro non ha senso. Insisto e ci portiamo oltre la diga. Qui ci sono dei facili e sicuri dossi su cui risalire. Purtroppo ho solo la cartografia digitale Garmin, davvero troppo semplice e imprecisa. Ho una traccia a cui m'attengo e la relazione in testa ma è davvero complicato muoversi in un terreno nuovo. Inoltre c'è un vento assurdo e costante che ci sferza contro rendendo la salita davvero faticosa. Almeno con la split ai piedi non ho l'effetto vela...ma i ragazzi faticano non poco.
Risaliamo questo splendido anfiteatro in direzione passo di Capra. Ho caricato una foto sul gps ma è praticamente un'icona. Impossibile scorgerne i dettagli. Botta di culo: sono sotto rete dati e al volo scarico dalla relazione di Guliver la stessa foto con l'indicazione del passaggio. Potere della tecnologia.
In effetti si può passare anche dove dicevano i ragazzi ma, dietro, avremmo dovuto disarrampicare una decina di metri (se non fare una doppia), mentre il passaggio che punto io è migliore...se non fosse presente un bel piede di un lastrone sceso qualche giorno fa.
Ragazzi vado avanti io. È rimasto il duro piano di scorrimento, quindi si sale facili e sicuri. Arrivati sotto la sella bisogna superare quello che rimane del lastrone. Tagliare verso il punto più basso ma proprio attraverso quello che rimane del lastrone è una pessima idea.
Faccio fermare i ragazzi di lato, tolgo la tavola e salgo dritto. In realtà il lastrone si presenta rigelato e crostato. Non più pericoloso. Ma la strategia è stata la migliore anche se lenta.
Arrivato sulla cresta scendo verso la sella e poi sul lato opposto.
Non voglio perdere troppa quota quindi scavo uno spiazzo e mi cambio quando il lacciolo del guanto scappa lasciando rotolare a valle la moffola. Che sfiga!!!
Scendo una decina di metri a recuperare il fuggitivo mentre gli altri scavallano uno a uno e raggiungono la base del bel pendio.
Da
qui 400 metri di polvere compressa su pendio ripido, tutta da battere, con
vento forte contro...una vera libidine. Sbuco al col d'Oin discretamente
distrutto. Tra le nuvole vedo la cima Carro completamente trifolata. Non mi va
di traversare e rivelare ad altri un pedio talmente bello e vergine. Punto una
cimetta a quota 3250 e mi fermo. I ragazzi arrivano. Nuvole vanno e vengono ma
noi siamo fiduciosi. Appena pronto aspetto la finestra di sole. Vesco sa di non
dovermi rubare la prima traccia (dopo quel mazzo!!!) anche se non ho detto
nulla...chissà che sguardo avevo.
Sole...ecco
il momemto. Mi lancio ed è subito uno sballo. Neve invernale che la mia Furberg
si divora voracemente. Il segreto è evitare le chiazze liscie tirate dal vento.
Per il resto è powder.
Usciamo
dal pendio e decidiamo di tagliare a destra per ricongiungerci all'itinerario
classico.
Ancora
200 metri di powder prima di un pezzo di neve dura, non smollata. 600 metri da
paura. Adesso cerchiamo i punti assolati dove c'è un leggero firn che permette
curvoni. Arrviamo nei pressi di un canale ma non vedo l'uscita ed evito. Luca
s' infila...cazzo!!!Mi affaccio per capire. Lui è tranquillo e prova l'uscita (che non si vede).
Vorrei saltare dentro ma non capisco cosa c'è sotto. Rinuncio. Giro da fermo di 180 con un leggero salterello e non capisco cosa succede ma mi vedo una parete nevosa davanti la faccia, poi capitobolo sotto sopra e mi fermo.
Cazzo, si è rotta la cormice facendomi rovinare giù e non ho nemmeno saltato in ingresso.
Luca è andato. Dopo il volo non voglio ravanamenti per cui esco da una sella laterale e mi ricollego agli altri giusto giusto per finire su una barra rocciosa. Ottimo, sganciamo e passiamo a piedi mentre Luca si è goduto l'ottimo canale.
Da qui ampi pendii assolati con ottimo firn, grnadi curvoni fino al sentiero che riporta alla macchina.
Bellissima gita indovinata visti i report in giro (tranne quello del San Matteo, jolly imprevedibile) in un angolo poco conosciuto e dove vale la pena di tornare.