mercoledì 2 aprile 2014

OSAre non vuol dire sbragare…Campo Tencia

Dopo il bel successo al Boshorn sono gasato. Il week end successivo sarà precettato dal compleanno di Massimo per cui scatta il piano B: infrasettimanale.
Secondo il mio programmino mentale sarebbe il turno del Cervandone ma il meteo al Devero non sembra dei migliori. Inoltre c’è una gita appena conclusa da alcuni amici che mi ronza in testa…Campo Tencia…Campo Tencia. Meteo buono. Ci sta. Mi focalizzo talmente tanto su questa gita che escludo ogni altra possibilità. Non mi rendo conto che il meteo al Devero è migliorato. Non mi rendo conto che 1900 metri di dislivello sono eccessivi per la mia gamba. Non mi rendo conto che i 5 km di falsopiano nel bosco avrebbero minato tempi e morale. Ho troppa voglia di emulare i miei amici che sottovaluto totalmente le difficoltà.
Partiamo con Fede e Puppi. Partiamo tardi. 

Contiamo di salire forte e recuperare. Iniziamo in una fitta boschina via via sempre più intricata. Lo sviluppo è infinito. Dopo 1 ora vedo le prime creste e sono convinto di lì a poco di attaccare il canale. Guardo il gps e con orrore vedo che sono solo a metà strada.
Capisco che perderò un’altra ora. Mentalmente ripasso i tempi. Possiamo ancora farcela.
Altra ora. Non siamo fisicamente stanchi, ma non ce la faccio più. Sto impazzendo. I rami in faccia, gli aghi nel coppino sudato, il polline sulla pelle. Ho bisogno di spazi aperti.
Finalmente lasciamo il sentiero e il bosco si apre. Iniziamo a salire bene e in poco tempo siamo di fronte alle cascate di ghiaccio.

Siamo solo noi 3 e lo spettacolo è stordente. A sinistra vedo la via per il Pizzo Forno con il passaggio chiave davvero insidioso. Altra gita da considerare. Noi teniamo la rotta sul Tencia nonostante i bacini superiori stiano già prendendo molto sole. Risaliamo il conoide del canalino nascosto (bisogna veramente avere fede che ci sia, altrimenti risulta invisibile). Trovo una piazzola dove calzare i ramponi. Tolgo una mezza tavola. Provo a togliere l’altra ma il manettino dell’attacco Maruelli è grippato. Con le mani nude mi scivola. Estraggo la pinza ma la posizione non è delle migliori. Mi faccio aiutare dai ragazzi che, con uno sforzo estremo, dopo 10 minuti buoni riescono ad aprirlo. Sono troppo incazzato. Con il senno del poi sarebbe bastato avere un incastro a brugola per sfruttare la leva di una chiave, o un altro sistema di sicurezza. Se fossi stato da solo in un punto pericoloso come avrei potuto fare? Ad ogni modo sono più incazzato per il tempo ulteriormente perso e per la consapevolezza che di lì a poco ne avrei avuto nuovamente bisogno.   
Salgo i 100 metri a 200 all'ora. Esco sulla terrazza e subito mi sistemo. 

Con la pinza elimino il filetto in eccesso. La cosa funziona ma altri minuti preziosi se ne vanno via. La neve è già cotta. Iniziamo a salire ma siamo bolliti a dovere. Rosolati dal riflesso e dal caldo, devastati dallo zoccolo via via sempre più spesso. Iniziano a tracimare spontaneamente alcuni pendii attorno a noi. Sono su un tratto ripido, passaggio chiave per accedere al ghiacciaio superiore. Sulla neve ormai senza legame è impossibile procedere. Vedo un bello scivolo duro. Idea. Calzo i rampant e salgo da lì. Idea azzeccata. Salgo rapidamente eliminando anche lo zoccolo. Mi mangio metri su metri quando per troppa fretta perdo l’appoggio e scivolo sul pendio. 50 metri rovinosi che minano definitivamente le gambe e il morale. 

Rimonto al limite del ghiacciaio (per caparbietà) ma non ne ho veramente più. Non ha senso proseguire, oltre ad essere davvero pericoloso. 300 metri, la vetta è là ma è giusto rientrare. M’inginocchio per sistemare la split e mi crolla la tensione. Per 5 minuti mi sento imbambolato. A fatica mi metto in piedi e sono preoccupato perché il rientro è lungo. Per fortuna bastano le prime curve in neve ancora spettacolare per lo snowboard per farmi riprendere. L’adrenalina è un bel tonico.

Tenuta la dorsale e sganciati bei caramelloni arriviamo al canalino. Lo scendiamo in qualche modo, poi bellissimo conoide e piano finale. Da qui delirio. Decidiamo di non ripercorrere la traccia di salita ma seguire quella di un locale nel bosco. Una traccia folle tra buchi nel torrente e salti di roccia. Ma almeno una traccia in discesa che ci porterà prima verso un bosco rado e intonso, poi ai piani da cui facilmente ritorneremo a Dalpe. Scendiamo lungo il sentiero basso che ci porterà al parcheggio del Crai. La prossima volta meglio partire da qui.

Ad ogni modo una bellissima gita e una bella giornata ma, soprattutto, una bella lezione d’umiltà.


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