lunedì 28 marzo 2011

Into the wild…jam!!!

Passata una settimana dalla mitica due giorni in Valgrisenche, avevo solo un pensiero in testa: tornare per fare Punta Rabuigne.
Ho cercato un po’ di recensioni su internet oltre a quella molto sintetica di “Neve Libera”. Tutte la descrivevano come una gita dal grande sviluppo e buon impegno fisico, con 1500 metri di dislivello. Oltre a pianificare la gita sul gps ho persino fatto lo schizzo di rotta (gli esami dell’Sa1 si avvicinano). Insomma tutto era pronto e chiaro nella mia mente. Visto che vorrei partire il più presto possibile parto già il venerdì sera. Parcheggio alla diga di Bereguard da dove parte la gita. L’idea è di dormire in macchina ed essere pronto già alle 6.00 evitando le noiose due ore di autostrada. Esperimento riuscito a metà. Il piano che si forma abbattendo i sedili posteriori e veramente confortevole (oltre al materassino e sacco invernale), ma l’aver dimenticato il cuscino è stato un grave errore che non mi ha fatto dormire con continuità. Svegliarsi con le prime luci, mettere il caffè sul fornellino, respirare l’aria tersa è impagabile.

Certo fosse stata una tenda in mezzo al bosco sarebbe stato 1000 volte meglio, ma mi accontento. Purtroppo mi sento già stanco e temo che la scelta di dormire in macchina mi penalizzerà.
Il primo pezzo lungo la stradina mi scalda. Superata la galleria trovo i primi tornanti che mi porteranno in breve a Rocher. Ancora tornanti che rallentano un po’ la salita ma rendono comodo il passo fino ad incrociare il sentiero n.9 che si allunga nel bosco. Qui iniziano i problemi. Il sentiero altro non è che un lungo traverso su ogni tipo di neve: dura, molle, ghiacciato, farinosa, granulosa, inconsistente, marcia… un continuo togli e metti i rampant…un continuo scivolare. Alcuni sciatori mi passano, più agili su quella mezza costa, mentre io, nonostante i coltelli, ravano alla grande. Finalmente arrivo al secondo torrente. Il bosco si apre. La traccia continua dritta ma a casa avevo pianificato di salire da qui e ricongiungermi al sentiero estivo (sbucando in prossimità dello Chalet Epee). Vedo un colle bello ripido ma fattibile. Inizio a salire e batter traccia. La neve è polverosa. Arrivo a 30 metri dal colle. Il pendio è ripido. Di neve morbida ce n’è fin troppa. Inoltre nonostante le frequenti inversioni proprio non riesco a risalire. La neve è inconsistente e continua a franare. Dopo mezz’ora ho fatto solo un grosso buco. Mi sposto per vedere se dal fianco riesco a passare ma nulla. Anzi arrivo bello bello su una placca che si sfonda e fa woom….Dietro front immediato e discesa con le mezze tavole ai piedi!!!! Riprendo la traccia che mi porterà molto più in là, ma questo scherzetto non solo mi ha fatto perdere quasi due ore per ritornare alla stessa quota ma, soprattutto, mi ha prosciugato l’energie.
Finalmente sbuco sul pendio aperto.

Non ne potevo più ne del bosco ne del traverso. A questo punto sono in forte ritardo. Arrivo in vista del rifugio dove altri skialpers mi passano (riconosco l’apripista della gara sull’Arp Vielle di domenica scorsa). Anche loro puntano alla Rabuigne ma con una linea tutta strana. Consulto la cartina. Dovrei risalire in piano tutto il vallone del Bouc fino all’attacco del ghiacciaio.

Solo l’idea mi fa venir di vomitare. Vedo già la spia della riserva lampeggiare. Sono le 11.30….sono quasi 5 ore che pello senza sosta. Mi sento esausto. Ci sono numerose tracce che puntano alla cime lì vicino: il Monte Forciaz. Senza pensarci troppo cambio meta e inizio a risalire i ripidi pendii. La traccia è già fatta ma è stretta. La tavola a valle sfonda. Sono costretto a tenere quella a valle in traccia, mentre quella a monte batte. Mi sento agli sgoccioli. Continuo con un passo lento e cadenzato al massimo risparmio ma è dura. L’orologio corre. Vedo i primi skialpers scendere mentre io sono ancora qui. Mancano 50 metri al colletto. Dai almeno al colletto ci devo arrivare. Con un ultimo sforzo supero il pendio. Quota quasi 3000. La gita finisce qui.

Mangio. Recupero le forze sotto al sole. Silenzio. Pace. Gli elicotteri hanno smesso di fare la spola. I pendii sono già arati.

Pensare alla facilità con la quale hanno avuto accesso paragonata alla fatica che sento dentro mi demoralizza. Però ora sono solo. Qualcosa è rimasto. Quando scendi affamato di powder senza sapere dove ti trovi, stai ben in mezzo, vicino alla traccia della guida. Non hai una visione d’insieme. Non vedi “l’incastro”. Mi sposto sulla destra fuori dal trito. Forse sono un po’ al limite ma è tutto per me.

La neve è da urlo. La Venture naviga veloce e facile. Non riesco a trattenermi. Non si può andare piano. Mi divoro il primo pezzo. Godimento puro.

Salendo avevo visto una bella vallettina intonsa. Peccato l’avesse notata anche una tutina che già scendeva quando ancora io sbanfavo in salita. Bravo lui ma la seconda traccia è tutta mia!!!!

Mi giro ad ammirare la firma. Scandaloso il paragone con la tutina: dove io faccio 4 curve lui ne ha fatte 20!!!!
Arrivo al limite del bosco. I giochi sono finiti (troppo in fretta come al solito). Di qui solo rientro. Ma da dove? Se ripenso a quel lungo traverso mi vien male. Meglio seguire le tracce lungo la stradina. Detto fatto mi mangio gli ultimi metri sui tornanti. La neve è papposa e devo tenere alta la velocità pena immersione tipo U-boat. Arrivo su un bel pendio. In fondo ci sono delle case e la parte terminale del bacino. Tiro belle curve su neve trasformata. La venture gira che è una meraviglia basta che ci sia del morbidello. Mi faccio prendere. In un attimo mi ritrovo sul fondo. Le tracce spariscono tutte in un punto: la piazzola di decollo dell’elicottero!!! Mi tocca ripellare per tornare sulla strada. La diga è piccolissima laggiù in fondo.

Saranno 4 chilometri di passo pattinato (grazie alla split) a darmi il colpo di grazia. Le formazioni di ghiaccio che s’incontrano sono curiose. Ma l’orario e la temperatura mi fanno temere scaricamenti dall’alto.

Arrivo alla macchina. Sono stremato. Mi sento svuotato. Non sono riuscito a godermela come speravo. La Valgrisenche è veramente wild. Un posto dove poter tornare e allestire un basecamp a fondovalle. Sentirsi dispersi nella natura. Peccato che il servizio elisky la trasformi nel centro di Milano. Peccato.

N:B: PER AFFRONTARE UN FUORIPISTA IN SICUREZZA (ANCHE QUELLO PIU’ BANALE VICINO ALLE PISTE) E’ NECESSATIO AVERE ARVA (ACCESO IN TRASMISSIONE) PALA E SONDA. NON IMPROVVISATEVI SE NON AVETE ESPERIENZA DELLA ZONA O DELLA NEVE. CHIEDETE A PERSONE COMPETENTI TUTTE LE INFORMAZIONI SULLE CONDIZIONI DEGLI ITINERARI E DELLE ZONE PERICOLOSE CHE SOLO QUELLI DEL POSTO CONOSCONO. FONDAMENTALE PER GARANTIRVI LA MASSIMA SICUREZZA E’ PIANIFICARE A CASA PER TEMPO IL FUORIPISTA CHE VOLETE INTRAPRENDERE, MA NON FERMATEVI AL SOLO BOLLETTINO: BISOGNA SEMPRE VERIFICARE SUL POSTO OSSERVANDO ATTENTAMENTE LE CONDIZIONI DELL’ITINERARIO E DECIDERE, ANCHE ALL’ULTIMO MOMENTO, DI RINUNCIARE SE NON SI E’ SICURI O TROPPO RISCHIOSO.

1 commento:

ilPuppi ha detto...

maledette le tutine